L’Uomo Nero, in fondo, cos’è, se non la rappresentazione di una figura spaventosa e dalla caratterizzazione indefinita. Non sappiamo che aspetto abbia, ma ne conosciamo a menadito la capacità di instillare nei piccoli un alto grado di inquietudine – a tal punto da farli desistere dal compiere l’ultima, eccitante, marachella e da configurarsi come un deterrente più efficace della punizione nella architettura del sistema educativo imposto dagli adulti nei confronti dei propri figli.
Può chiamarsi anche orco o lupo cattivo, e corrispondere a una precisa connotazione fisiognomica, avallata dall’universo fiabesco, ma la sostanza non cambia: si tratta di mostri, fantasie disturbanti, demoni invisibili a occhio nudo, ma ingombranti presenzialisti dell’inconscio.
Solo incubi infantili?
Albergano negli anfratti della mente e basta poco per attivarli, soltanto dialogare con ataviche e umane debolezze: per i bambini può essere il buio, ritrovarsi senza la protezione materna di fronte all’oscurità, soli nel momento in cui arriva a galleggiare sulla superficie la parte vulnerabile del sé, quella che emerge nel momento in cui vengono meno i riferimenti e si amplifica la percezione di un inconsistente inquietudine.
Ed è a quel punto che rintracciare nell’Uomo Nero la matrice del sentimento di un’innominabile paura diventa un modo per conferire alle nostre fragilità, di piccoli e grandi, una struttura con delle coordinate. Sicuramente per gli adulti non si chiamerà più Lupo Cattivo e non si farà vivo a mezzanotte, strisciando fuori da sotto il letto, ma il bisogno di incasellare l’ignoto – cosa c’è di più ignoto della paura – e renderlo razionale è l’unico stratagemma di grandi e bambini per sopravvivere a se stessi.
Babadook verrà a prenderti al cinema, dal 15 luglio. Sei pronto a rivivere gli incubi della tua infanzia? Qual era la tua ossessione?