Grazie a La Bambola Assassina di Lars Klevberg, distribuito nei cinema italiani da Koch Media attraverso la propria etichetta horror Midnight Factory dal 19 giugno, in anteprima mondiale, torna sul grande schermo, in una veste tutta nuova, Chucky, il diabolico pupazzo che fece la sua prima apparizione nel classico del 1988 diretto da Tom Holland.
Un classico che non poté fare altro che aggiungere una nuova iconica figura alla celluloide dell’orrore degli anni Ottanta, trasudante personaggi destinati a lasciare il segno nella storia del genere.
Cominciò tutto un Venerdì… 13!
Del resto, parliamo del decennio che aprì nel 1980 con Venerdì 13 di Sean S. Cunningham, che, rozzamente incentrato sul massacro di un gruppo di giovani in vacanza presso il Camp Crystal Lake, non solo introdusse nel proprio finale il mostruoso Jason Voorhees annegato da bambino nel lago locale e vendicativamente riemerso, ma provvide a trasformarlo nell’immortale stermina-campeggiatori dalla maschera da hockey, in quella che si è poi rivelata una delle più prolifiche saghe cinematografiche.
Una saga che, tra scippi a Reazione a Catena – Ecologia del Delitto di Mario Bava e tanta esplicita violenza, provvide a delineare definitivamente le regole del filone slasher, costituito da pellicole incentrate su fantasiosi omicidi ai danni di persone in uno spazio più o meno chiuso e che vennero anticipate negli anni Settanta da titoli quali Black Christmas – Un Natale Rosso Sangue di Bob Clark e Halloween – La Notte delle Streghe di John Carpenter.
Dopo la notte delle streghe e la porta da non aprire
Non a caso, proprio dopo che la figura di Jason Voorhees riscosse un successo tale da ritrovarsi protagonista già nel 1988 di ben sette lungometraggi, anche quella di Michael Myers – cui l’ex bambino di Crystal Lake doveva molto in fatto di storia – si rifece viva, nonostante all’epoca sembrava fosse stata definitivamente annientata nell’esplosione che chiuse nel 1981 Halloween II – Il Signore della Morte di Rick Rosenthal.
Perché, una volta appurato che, ormai, i serial killer non erano più i semplici individui di un tempo ma esseri invulnerabili e caratterizzati da determinati aspetti soprannaturali, i produttori intuirono che anche Myers poteva concedersi più di un rientro in scena, a cominciare da Halloween IV – Il Ritorno di Michael Myers di Dwight H. Little (ricordiamo che il precedente Halloween III – Il Signore della Notte di Tommy Lee Wallace raccontò vicende estranee alla serie).
Ma l’assassino della vigilia d’Ognissanti non fu l’unico a tornare all’opera per cavalcare l’onda che stavano riscuotendo i boogeyman del new horror, visto che nel 1986 Tobe Hooper si decise a riportare in azione Leatherface in Non Aprite Quella Porta II, con tanto di maschera in pelle umana, famiglia di cannibali al seguito e, ovviamente, immancabile sega elettrica alla mano.
Anche per il buon Faccia di pelle, dunque, era iniziata la serialità, come testimoniato poi da Leatherface – Non Aprite Quella Porta III di Jeff Burr e da tutti i seguiti e remake che lo hanno posto al proprio centro tra gli anni Novanta e il terzo millennio.
Freddy Krueger e gli incubi dell’american dream
In fin dei conti, gli anni Ottanta sono stati, appunto, quelli in cui si diffuse la moda hollywoodiana (e non solo) della serialità, come testimoniarono anche La Casa 2 di Sam Raimi e franchise che non avevano nulla a che vedere con l’orrore in fotogrammi, da Superman a Scuola di Polizia.
Una serialità dettata, ovviamente, dagli incassi e che, in fatto di paura da schermo, vide trasformarsi nel proprio simbolo l’artigliato Freddy Krueger, sfigurato Signore degli Incubi partorito dalla geniale mente di Wes Craven nel suo Nightmare – Dal Profondo della Notte, generatore di sei sequel, una serie televisiva e un remake.
Perché un mostro capace di agire mortalmente nei sogni poteva venir fuori giusto in pieno periodo d’American Dream; come pure il Jerry Blake che, assumendo diversi nomi ma decisamente più ancorato alla realtà rispetto a Krueger, si è dedicato allo sterminio di mogli e figli che non riteneva idonei a quella che doveva essere la sua famiglia perfetta nella trilogia Stepfather.
Mentre, perennemente in bilico tra dimensione onirica e concreta atmosfera funerea terrestre, si faceva strada anche il becchino Tall Man dal volto di Angus Scrimm, supportato da pericolose sfere luminescenti svolazzanti e interessato a sfruttare le anime dei morti per coinvolgerle in un malvagio piano di conquista del mondo nell’epopea Phantasm, iniziata nel 1979 da Don Coscarelli.
Pinhead e gli altri
Chi rimane, dunque, degli iconici personaggi che hanno reso memorabile ed esteticamente accattivante la Settima arte horror che spopolò in era reaganiana?
Sicuramente Pinhead, introdotto nel 1987 dal geniale Hellraiser di Clive Barker e che, dal capo calvo e ricoperto di chiodi, altro non è che il leader dei Supplizianti, o Cenobiti, esseri appartenenti a una dimensione parallela e particolarmente amanti della tortura.
Ma, se i maggiormente attenti alla produzione da grande schermo di allora non potranno certo aver dimenticato Sammi Curr, defunto cantante heavy metal che tornava come malvagio spettro capace di smaterializzarsi in energia elettrica in Morte a 33 Giri di Charles Martin Smith, è bene citare anche il vendicativo demone Pumpkinhead (letteralmente Testa di Zucca), protagonista di una tetralogia iniziata nel 1988 con l’omonimo lungometraggio firmato dal compianto mago degli effetti speciali Stan Winston.
E che dire di Matt Cordell, il poliziotto zombi che, a metà strada tra Jason Voorhees e Terminator, ha provveduto a mietere non poche vittime nella trilogia Maniac Cop di William Lustig?
Sono tutti colleghi del nostro amato Chucky, che tornerà a terrorizzarci al cinema dal 19 giugno in La Bambola Assassina, in anteprima mondiale, grazie a Midnight Factory.