Quando Tiziano Sclavi creò il personaggio di Dylan Dog, decise che la sua casa sarebbe sorta in Craven Road, al numero 7. Ma se vi trovate a Londra, risparmiate tempo e fatica: perché, a differenza dell’altrettanto celebre Baker Street, non trovereste nessuna strada con quel nome.
Nel 1986 e con una manciata di pellicole all’attivo, Wes Craven veniva già considerato un autentico master of horror. Per poi trasformarsi nel miglior indagatore dell’incubo che la settima arte potesse desiderare.
Wesley Earl Craven (1939-2015)
Un’infanzia isolata a Cleveland, in Ohio, segnata da una rigida educazione battista. Poi gli studi di Lettere e Psicologia a Baltimora e l’inizio della carriera universitaria come insegnante di materie umanistiche.
Dopo aver appreso i primi rudimenti del montaggio da Harry Chapin, verso la fine degli anni ’60 Craven divorzia dalla prima moglie e si trasferisce a New York, inseguendo il suo grande sogno. E dopo una lunga gavetta, diventa assistente al montaggio di documentari, per poi dirigere un film insieme all’amico Sean S. Cunningham, futuro regista di Venerdì 13.
Il 1972 è l’anno del suo primo lungometraggio, “L’ultima casa sinistra”, prodotto dallo stesso Cunningham. Un film a basso costo e ad alto carico di violenza, dove Craven rilegge e reinterpreta “La fontana della vergine” di Bergman.
Prendendo di mira il puritanesimo della provincia americana, il film è una cruenta testimonianza del malessere sociale post-Vietnam. Il primo, grande successo di pubblico di Wes Craven, con tanto di remake nel 2009 ad opera del greco Dennis Iliadis, a cui seguirà l’altrettanto fortunato “Le colline hanno gli occhi”.
Cinque lame da incubo
C’è il mantello di Dracula, gli elettrodi della creatura di Frankenstein, o ancora le bende della mummia. E dopo i mostri targati Universal, arrivarono i terrificanti Michael Myers e Jason Voorhees. Nessuno di loro, però, ha saputo incarnare l’archetipo dell’uomo nero come Freddy Krueger.
Armato di lunghe lame e con indosso l’inconfondibile maglione a righe, la creatura più famosa di Wes Craven ha finito per impersonare l’incubo per antonomasia: un terrificante “Nightmare”, come recita il titolo della celebre saga inagurata nel 1984, che uccide nel profondo della notte. Un atroce Babau onirico, che colpisce nel sonno. Trasformandolo nel più atroce degli incubi.
(Meta)cinema dell’orrore
Nel 1996 Craven torna nuovamente sulla cresta dell’onda con “Scream”, creando un personaggio altrettanto iconico e risvegliando il genere horror da un lungo torpore.
Grazie ad una pellicola ironica e squisitamente metacinematografica, il serial killer con la maschera ispirata a L’urlo di Munch diventa uno dei simboli incontrastati della cinematografia mondiale.
Scream è un autentico grido di paura, che annuncia la rinascita del grande horror, fissandone le regole e celebrandone i miti, da Tobe Hooper fino a John Carpenter.
Uno straordinario esercizio di stile che spaventa e diverte, smontando e ricomponendo gli stereotipi dell’horror, inaugurando un nuovo corso del cinema di genere. Lasciandoci un’immensa eredità: quella di un autore intelligente e mai scontato, che neanche la morte potrà mai cancellare.